A leggere il titolo si pensa positivo. In realtà il giorno perfetto di una coppia presa in una morsa di ordinaria follia come ormai se ne consumano spesso, è il giorno in cui si decidono le sorti dei protagonisti. "Nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, finchè morte non ci separi" recita la formula cattolica del matrimonio. Ognuno di noi ci crede profondamente all'atto del solenne pronunciamento.
Ma più che la morte, altro separa.
Ci separa la vita.
Ci separa la depressione, il lavoro, la famiglia, gli interessi, i soldi e ancora la piccolezza alle volte del nostro io, svuotato di ciò di cui potrebbe essere capace.
Ci separa tutto ciò che compone questa società non modello. Ci separa la forza che viene meno. Quella forza che ognuno di noi dovrebbe poter avere e alimentare ogni giorno e che invece viene minata da una quotidianeità che non ci appartiene, che evidentemente ci logora anzichè sostentarci.
Il film traccia in modo circolare le separazioni in un modo più implacabile che analitico (è pur sempre Ozpeteck mica Bergmann!). E questo incalzare sicuramente colpisce e affonda nell'animo di chi guarda. Non sono date vie di fuga, nè è offerta una "redenzione", solo piccoli spiragli che chissà se possiamo percorrere.
E su questo non sono d'accordo.
La via di fuga è la pienezza. La pienezza che le cose racchiudono, una loro intatta perfezione che si può disvelare solo a guardare il mondo con occhi nuovi.
Ecco. Secondo me noi non abbiamo quasi più occhi nuovi.
E' forse per questo che la tragedia sembra avvolgere i destini dell'umanità?
O è solo il kebab di ieri, trangugiato alla velocità di Mach 2, che ha sortito i suoi sordidi effetti?
Autore del post: Gmai
Ma più che la morte, altro separa.
Ci separa la vita.
Ci separa la depressione, il lavoro, la famiglia, gli interessi, i soldi e ancora la piccolezza alle volte del nostro io, svuotato di ciò di cui potrebbe essere capace.
Ci separa tutto ciò che compone questa società non modello. Ci separa la forza che viene meno. Quella forza che ognuno di noi dovrebbe poter avere e alimentare ogni giorno e che invece viene minata da una quotidianeità che non ci appartiene, che evidentemente ci logora anzichè sostentarci.
Il film traccia in modo circolare le separazioni in un modo più implacabile che analitico (è pur sempre Ozpeteck mica Bergmann!). E questo incalzare sicuramente colpisce e affonda nell'animo di chi guarda. Non sono date vie di fuga, nè è offerta una "redenzione", solo piccoli spiragli che chissà se possiamo percorrere.
E su questo non sono d'accordo.
La via di fuga è la pienezza. La pienezza che le cose racchiudono, una loro intatta perfezione che si può disvelare solo a guardare il mondo con occhi nuovi.
Ecco. Secondo me noi non abbiamo quasi più occhi nuovi.
E' forse per questo che la tragedia sembra avvolgere i destini dell'umanità?
O è solo il kebab di ieri, trangugiato alla velocità di Mach 2, che ha sortito i suoi sordidi effetti?
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